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L’Eremo dei Frati Bianchi o Eremo delle Grotte
La soppressione degli ordini religiosi
Fonte di ispirazione per scrittori e poeti
La storia di oggi
L’Eremo dei Frati Bianchi, o Eremo delle Grotte, occupato dagli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona fino al 1927, è situato in una profonda gola tra Cupra Montana e Poggio Cupro.
Le grotte che hanno dato nome all’Eremo, fondato secondo la tradizione da San Romualdo, risalgono agli anni intorno al Mille, furono abitate da alcuni monaci della soprastante “Romitella delle Mandriole” (la Romita).
Il luogo, proprietà di Giuntolo di Giovanni da Poggio Cupro, fu donato nel 1293 a Giovanni Maris che insieme con Matteo Sabbatini entrambi di Massaccio, vi conduceva vita di preghiera e di penitenza.
I Fraticelli
Frequentato da altri eremiti, tra il sec. XIV e XV i seguaci dei Fraticelli si insinuarono sia nel convento dei Camaldolesi del Massaccio detto “la Romita” sia nell’Eremo delle Grotte, loro probabile provvidenziale rifugio. Una delle grotte scavate nel tufo e più solitaria delle altre, era detta nel Seicento La Tebaide in ricordo degli antichi anacoreti che appunto in Egitto iniziarono nella seconda metà del III secolo questa forma di vita ascetica.
Nel 1520 vi andò ad abitare il Beato Paolo Giustiniani che vi gettò i primi fondamenti della Congregazione monastica camaldolese di Monte Corona, rivestendo il 2 luglio 1522 dell’abito del nuovo Ordine religioso i suoi primi discepoli. Il Giustiniani accolse nell’eremo il 24 marzo 1524 Ludovico e Raffaele Tenaglia di Fossombrone, frati minori, che poi dettero origine all’Ordine dei Cappuccini; P. Ludovico Tenaglia vi morì probabilmente tra il 1560 e il 1570.
Nei secoli XVI e XVII l’eremo si accrebbe di nuove piccole costruzioni, continue erano però le frane e gli smottamenti di terreno causati dalle piogge abbondanti, si propose così verso la fine del Seicento di fondare un nuovo eremo nella non lontana contrada delle Mandriole in un terreno della famiglia Ferranti: vi si opposero però i cittadini di Jesi.
Nel 1777 presentato un progetto per un radicale restauro dell’eremo, fu respinto dal Capitolo generale dell’Ordine.
Si decise così il 28 giugno 1782 la costruzione di un nuovo eremo sul colle di Bellavista , tra Vaiolati e Monte Roberto, dando subito inizio all’opera su disegno di Mattia Capponi. Nel 1785 i lavori vennero però interrotti ed accantonato il progetto in maniera definitiva dopo una spesa di 4.000 scudi, sia per l’accanita opposizione della popolazione del Massaccio, sia per l’impossibilità di sostenere la complessiva spesa di 50.000 scudi, ritenendo altresì il nuovo eremo un lusso troppo sfacciato per i figli di San Romualdo. Si rimaneva così nel vecchio eremo: nel 1792 si costruì la chiesa dedicata a S. Giuseppe (da questo santo venne chiamato poi l’intero complesso monastico) e anche il “Sacro Eremo delle Grotte fu rifabbricato pressoché tutto dalle fondamenta” su progetto di D. Apollonio Tucchi.
Dal 1810 al 1817 l’eremo fu chiuso in forza del decreto napoleonico del 25 maggio 1810. Nel 1826 venne pitturato e decorata la chiesa di San Giuseppe da Alessio Fioravanti di Cingoli ma domiciliato a Massaccio.
La soppressione degli ordini religiosi
Per decreto del commissario Lorenzo Valerio del 7 luglio 1866 che sopprimeva le corporazioni religiose, gli eremiti furono scacciati la notte del 31 dicembre 1866 e l’eremo saccheggiato; i monaci vi potettero ritornare solo il 7 maggio 1874. Non vi ritrovarono più la ricca biblioteca finita presso il Municipio, né l’altare in maiolica della scuola di Della Robbia finito presso il Museo di Jesi.
Il fosso o “piccolo torrente” che scorre vicino l’eremo e che facilmente l’inondava non avendo argini sufficienti, è chiamato in documenti del Duecento rivus Corvi o fossatum Corvi .
Prima che all’eremo giungesse il B. Paolo Giustiniani si ha notizia che il luogo dove abitò il Beato Giovanni Maris era chiamato “La Grotta de Santo Johanne” e che vi era un oratorio o piccola chiesa “Sancti Johannis de Grotta”. Ben presto però il nome più comune divenne quello di Romitorio delle Grotte del Massaccio o Heremo delle grute del Massaccio. Giustiniani desiderava che l’eremo si chiamasse Le Grotte di S. Romualdo del Massaccio.
La strada dell’eremita che un tempo da via S. Giovanni conduceva sia all’Eremo delle Grotte sia al Convento della Romita, chiamata all’inizio del secolo (1901) strada vicinale Fonte S. Giacomo (sorgente che esiste tutt’ora), è ridotta ad un impraticabile viottolo, indicato nel suo inizio da un’edicola anch’essa mal ridotta.
Oltre ai già ricordati B. Giovanni Maris (1210-1303), il B. Matteo Sabbatini (+1320), B. Paolo Giustiniani (1476-1528) e Ludovico e Raffaele Tenaglia, soggiornarono nell’eremo il B. Antonio da Recanati, il B. Girolamo da Sessa che fu medico personale di Leone X, il Ven. Giustiniano da Bergamo (+1563) ed altri eremiti insigni di santità ricordati in una lapide, dettata dal Menicucci e murata nell’eremo, ora ridotta in pezzi ed accantonata presso privati.
Fonte di ispirazione per scrittori e poeti
L’eremo legato da sempre all’affetto dei cuprensi è stato fonte di ispirazione per scrittori e poeti come Luigi Bartolini e Francesco Bonci e pittori come Corrado Corradi jun.
La vita dell’eremo era scandita dalla preghiera, dallo studio e dal lavoro: i monaci producevano quasi tutto il necessario alla loro alimentazione; solo in tempi recenti, alla fine dell’Ottocento, due volte alla settimana ricevevano il pesce che giungeva loro da Ancona per ferrovia fino alla stazione di Castelplanio, e che mia nonna, Scortichini Gentile (1870-1947), a piedi con una cesta in testa provvedeva a portare all’eremo.
Da decenni ormai l’eremo è ridotto ad un penoso degrado: non si contano più gli appelli e le grida di allarme che periodicamente sono apparsi ed appaiono sulla stampa locale, regionale e nazionale.
Nel 1977 si tenne a Cupra Montana dal 13 al 23 agosto una mostra fotografica per denunciare lo stato di abbandono e di sfacelo; proposte si susseguirono per l’utilizzo del complesso, oltre a lavori di poco conto, nient’altro si è fatto. Legato alla storia di Massaccio/Cupra Montana l’eremo sta lentamente agonizzando sotto l’incalzare del tempo aggravato dalla trascuratezza degli uomini; mèta di curiosità e oggetto di studio, la recente monografia del Tesei l’ha fatto ritornare di attualità come ultimo forte grido per la salvezza di “questo monumento unico in tutte le Marche”.
Purtroppo però nella seconda decade di aprile 1986, le grotte costituenti “il nucleo più antico ed affascinante dell’Eremo” sono franate compromettendo ulteriormente la salvaguardia di una testimonianza che “riassume la storia stessa e la civiltà” di Cupra Montana.
Certamente aldilà di tutte le destinazioni possibili, l’auspicio comune è quello di far ritornare i monaci bianchi nell’eremo, una soluzione non impossibile e l’unica praticabile nel rispetto della sacralità del luogo e per la tutela del bosco.
La storia di oggi
Grazie ad una imponente opera di restauro, oggi l’Eremo dei Frati Bianchi è ritornato a splendere nella sua cornice naturale e grazie al FAI è stato possibile visitarlo.